LAVORO INTERMITTENTE: cosa cambia per i lavoratori?

Il Senatore Sacconi ha presentato una proposta che fa discutere, il DDL sul “lavoro breve” che prevede il Lavoro intermittente, ma di cosa si tratta?

La proposta prevede “Disposizioni in materia di lavoro breve, di lavoro intermittente e di responsabilità solidale tra committente e appaltatore” e già ha una nutrita schiera di oppositori, ma di cosa si tratta?

E soprattutto  cosa cambia rispetto alle precedenti norme?

L’intento dichiarato è quello di semplificare rispetto alla situazione preesistente, l’esigenza nasce dal vuoto lasciato dall’abolizione dei

cosiddetti voucher, il risultato è creare “nuove” tipologie di lavoro, che nuove non sono.

La semplificazione si limita a rendere “virtuale” la gestione del rapporto di lavoro intermittente, senza cambiare alcunché, rimane il tanto contestato obbligo di comunicazione 60 minuti prima.

Ma quali sono le nuove tipologie previste?

Il lavoro breve per le prestazioni entro i novecento euro ogni anno e il lavoro intermittente, che è lo step successivo, più del lavoro breve, ma meno del lavoro “part-time”.

Il parametro per la definizione del “lavoro breve” è quantitativo: € 10/ora e € 900/anno, così come è quantitativo il parametro del lavoro intermittente (per cui rileva il numero di giornate lavorate).

Il DDL introduce però una nuova responsabilità del datore di lavoro, da cui si libera solo dimostrando di aver adempiuto a specifici obblighi di

vigilanza, insomma si va sempre più verso la diversificazione di responsabilità dal profilo penale, che andrebbe accompagnata da una cornice normativa ad hoc.

Il DDL sul lavoro intermittente ha lo scopo di scongiurare il referendum richiesto dalla CGIL, ma non fa che cambiare nome ai voucher, senza

accompagnarli da idonee garanzie ne per i lavoratori, tantomeno per i

datori di lavoro; insomma non soddisfa quel bisogno di colmare il vuoto lasciato dai voucher.

Le “due vie complementari” Lavoro breve e lavoro intermittente liberalizzato.

È difficile vedere migliorie, si tratta di strumenti che non soddisfano le esigenze di semplicità e di dinamismo della situazione attuale.

Il lavoro breve prevede un rapporto che generi compensi inferiori a € 900 per anno;

mentre il lavoro intermittente prevede un massimo di 400 giornate in tre anni.

Per ripartire c’è bisogno che le aziende viaggino leggere e che i lavoratori si sentano tutelati. Non soddisfa l’esigenza di impresa e non piace ai lavoratori.

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