Sentenze tributarie nulle: quando e perchè
Esistono Sentenze tributarie che sono nulle?
Ai sensi dell’articolo 36 D.Lgs. 546/1992 la sentenza del giudice tributario deve contenere una serie di elementi essenziali:
l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;
- la concisa esposizione dello svolgimento del processo;
- le richieste delle parti;
- la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;
- il dispositivo.
L’inosservanza di tali prescrizioni può comportare la nullità, mentre in altri casi è possibile rimediare alle omissioni o alle errate indicazioni mediante un procedimento (il procedimento di correzione delle sentenze ai sensi dell’articolo 287 c.p.c.).
Ad esempio, prendiamo il difetto di intestazione, la cui prescrizione richiede che la sentenza sia pronunciata in nome del popolo italiano e intestata alla Repubblica italiana, non comporta la nullità potendosi rimediare con il procedimento di correzione della sentenza (Cfr., Cass. sent. n. 550/1985).
Invece, per quanto riguarda il difetto di indicazione dei componenti del collegio giudicante, comporta la nullità della sentenza, se la deliberazione
sia avvenuta ad opera di giudici diversi rispetto a quelli che hanno partecipato di fatto alla discussione o di un numero di giudici inferiore o superiore rispetto al numero legale che è previsto dalla legge.
Bisogna far riferimento al verbale d’udienza, per cui, ad esempio se non è possibile individuare il «terzo componente del collegio» che ha partecipato
alla deliberazione, o comunque emerge la presenza di un giudice diverso, la sentenza è nulla (Cfr., Cass. sent. n. 11269/2001).
Per quanto concerne, poi, il caso di difetto di indicazione delle parti e dei loro difensori, in linea generale non determina la nullità della sentenza,
perchè è possibile rimediare con il procedimento di correzione delle sentenze.
Infatti è stato chiarito che la nullità della sentenza non si verifica a condizione che dalla sentenza e dagli atti processuali sia possibile desumere con certezza di quale errore si tratti (Cfr., Cass. sent. n. 5850/2002).
Al contrario che essa si verifica solo quando c’è stata una effettiva violazione effettiva del contraddittorio, di cui può costituire sintomo per esempio la mancata indicazione delle parti (Cfr., Cass. sent. n. 8782/2001).
Nel caso di mancata concisa esposizione dello svolgimento del processo, si ha nullità della sentenza solo se tale omissione impedisca totalmente di
individuare quale sia il thema decidendum e quali siano le ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cfr., Cass. sent. n. 27356/2013), nonché gli elementi di fatto considerati o presupposti nella pronuncia (Cfr., Cass. sent. n. 6660/2006).
La mancata indicazione delle richieste delle parti infatti non comporta la nullità della pronuncia, a meno che tale omissione non abbia inciso
concretamente sull’attività svolta dal giudice (comportando un’omissione oppure un difetto di motivazione, Cfr., Cass. sent. n. 4208/2007).
Sul difetto di motivazione c’è molto da dire,
la prima distinzione necessaria da fare è tra pronuncia di primo e secondo grado.
Nel giudizio di appello tale vizio non assume molta rilevanza in ottica difensiva, in quanto non condurrà ad una nullità del processo, essendo
sostituita la pronuncia di primo grado da quella del giudice di appello.
Al contrario, nel giudizio di cassazione il difetto di motivazione della sentenza costituisce una nullità processuale conclamata che, se del caso,
potrebbe condurre alla cassazione con rinvio della sentenza ad altra sezione della Commissione tributaria regionale.
Sotto tale profilo, è molto importante la questione relativa alla nullità della sentenza che è dotata di una motivazione apparente; questo vizio è configurabile nella ipotesi in cui il giudice di merito ometta del tutto
l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza compierne alcuna approfondita disamina logica e giuridica (Cfr., Cass. ord. n. 11437/2014).
È stato altresì affermato che la sentenza è nulla ove il giudice non dia atto dei motivi delle parti, così mancando la possibilità di ritenere che essi
siano stati valutati (Cfr., Cass. sent. n. 16612/2015), ancorché l’eventuale copia-incolla, comunque, non garantirebbe un’operazione di valutazione critica.